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Fake News

Acqua per la produzione di carne: attenti alle bufale!

Smentiamo nuovamente una delle fake news più assurde legate alla produzione di carne: davvero dobbiamo ancora sentire ripetere che ci vogliono 15mila litri d’acqua per produrre un chilo di carne?

Il professor Giuseppe Pulina ci spiega perché questo dato è totalmente inesatto.

Contro le bufale su sprechi inesistenti. Tra le argomentazioni più utilizzate dai nuovi trend vegan-friendly contro gli allevamenti animali c’è la fake news più dura a morire, ovvero che servano 15.000 litri d’acqua per produrre 1 kg di carne bovina. Non solo sul web: la sentiamo ripetere ovunque, anche in programmi televisivi in prima serata. È tempo di mettere un punto alla circolazione di informazioni sbagliate. In Italia, ad esempio, rispetto alla media mondiale si impiega il 25% d’acqua in meno per produrre un chilo di carne bovina. Questo tipo di analisi più accurata ci porta quindi ad un valore più corretto dell’impronta idrica delle carni bovine, che varia da un minimo di 790 litri per gli allevatori più bravi in una filiera efficiente, ad un massimo di 5.000 litri per quelli meno attenti. Anche nel caso di filiere poco efficienti, il consumo è comunque meno della metà di quanto viene comunemente stimato, con valori medi vicino ai 1.000 litri, cioè ben 15 volte meno di quanto viene raccontato. Si tratta infatti di dati non solo assurdi e inesatti, ma persino oggetto di correzione da tempo, grazie a calcoli più accurati, che hanno tenuto in considerazione caratteristiche in precedenza trascurate.

Quanta e quale acqua occorre per la produzione di carne? In particolare, il fatto che l’acqua non è tutta uguale, ma si divide in acqua «verde», che è quella piovana evapotraspirata dal terreno durante la crescita delle colture, acqua «blu», che è quella prelevata dalla falda o dai corpi idrici superficiali, e acqua «grigia», che è il volume d’acqua necessario a diluire e depurare gli scarichi idrici di produzione. Vien da sé che l’acqua prelevata dalla falda non ha lo stesso impatto ambientale di quella piovana o di quella scaricata. Invece la quasi totalità̀ dei dati di letteratura relativi all’impronta idrica dei prodotti alimentari è stata pubblicata dal Water Footprint Network (WFN), attraverso un’analisi che non quantifica l’impatto ambientale associato all’utilizzo d’acqua, ma soltanto la quantità di acqua utilizzata. Con il Water Footprint, quindi, si calcola la quantità di acqua utilizzata nei processi produttivi, cioè la cosiddetta «acqua virtuale» che, quando si parla di carne, include anche quella usata per la coltivazione dei foraggi necessari all’alimentazione del bestiame. Questo metodo di valutazione dei consumi d’acqua nel settore zootecnico calcola così l’impronta idrica di un prodotto, sommando tutte le acque, «blu», «verde», e «grigia».

Vi sveliamo come stanno le cose. Dunque il dato abnorme dei 15.000 litri di acqua per produrre 1 kg di carne bovina deriva dal conteggio dell’acqua piovana utilizzata per produrre i foraggi e i mangimi usati negli allevamenti. Ma questa acqua sarebbe piovuta comunque su quelle superfici, con o senza animali, per cui non deve essere presa in considerazione nei consumi. È più corretto tenere conto dell’eventuale maggiore evapotraspirazione di pascoli e colture rispetto alla flora naturale del territorio. Un’altra criticità sostanziale è che, prendendo in esame il valore complessivo medio mondiale e ignorando il contesto locale in cui avvengono la produzione e l’allevamento, non si mette in relazione il prelievo di acqua con la disponibilità di quel territorio. A livello complessivo, l’intero settore italiano delle carni, bovino, avicolo e suino, impiega l’80-90% delle risorse idriche verdi, che fanno cioè parte del ciclo naturale dell’acqua e, come viene insegnato fin dalle scuole elementari, vengono restituite come acqua piovana all’ambiente nel ciclo idrologico, per cui non sono davvero “consumate”. Solo l’acqua blu, che corrisponde al 10-20% dell’acqua necessaria per produrre 1 Kg di carne viene effettivamente prelevata e “consumata”.

Fonte: Carni Sostenibili